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Non scappare

Candance infilò alla rinfusa nella borsa tutto quello che aveva sparso sulla scrivania. Non aveva nemmeno fatto in tempo a metabolizzare l’ipotesi di essere stata folgorata da un colpo di fulmine per lo sconosciuto dalle sembianze principesche, quando l’oggetto delle sue attenzioni era fuggito dalla biblioteca, come se lei fosse un animale rabbioso. Riordinò malamente i libri che stava consultando e li abbandonò dove la bibliotecaria potesse facilmente ritrovarli e metterli al loro posto. Non dubitava che avrebbe ricevuto una lettera di richiamo dalla blasonata biblioteca di Medicina. Mentre si dirigeva per i lunghi corridoi verso l’uscita, la possibilità di una tirata d’orecchie da Yale non la preoccupò poi tanto. La sua attenzione era completamente rivolta alla ricerca dell’alta figura maschile che la stava seminando:

Diavoli, come corri!

Pensò con stizza vedendo, finalmente, le ampie spalle del ragazzo varcare la soglia della facoltà. Non si pose il problema di come attaccare bottone una volta lo avesse raggiunto. Non era molto esperta negli abbordaggi agli sconosciuti: solitamente era lei a essere seguita!

Fuori dalla biblioteca il crepuscolo era già inoltrato e le luci dei lampioni accese. Lo sguardo di Candance corse da un lato all’altro del parco dietro l’edificio. Riuscì a scorgerlo giusto in tempo mentre si dileguava dietro un angolo oltre gli alberi che costeggiavano i vialetti. Lo spilungone indossava una camicia blu scuro sopra un paio di jeans, infilati nei logori scarponcini color cuoio. L’abbigliamento enfatizzava le spalle larghe e la vita sottile del ragazzo, il suo portamento atletico e le gambe lunghe, che gli conferivano un discreto vantaggio nell’inseguimento rispetto alla ragazza. Se non fosse stata allenata grazie alle sue costanti corse mattutine, l’avrebbe seminata con facilità.

Ma che sto facendo?

Si rimproverò in un lampo di lucidità, accelerando comunque il passo e decisa a non demordere. Lo vide tagliare per il prato e raggiungere l’altro edificio, senza voltarsi per verificare che lei non gli fosse alle calcagna. Ma per ogni buon conto, Candance cercò di dissimulare l’atteggiamento da segugio evitando di correre o di adottare un comportamento sospetto, mentre cercava di approfittare degli alberi per non dare troppo nell’occhio. Era appena sbucata in un piccolo parcheggio, ricavato tra due edifici del complesso, quando riconobbe lo studente di medicina nel centauro che la superava a bordo di una moto scura.

“Merda!”

A Candance l’imprecazione sfuggì a voce alta e la ragazza si guardò subito intorno per assicurarsi che nessuno l’avesse sentita, ma il rombo del motore della moto doveva aver sovrastato la sua voce. E in ogni caso il parcheggio sembrava deserto. Finita in una delusione la piccola caccia all’uomo, non le restava che tornare alla macchina e dirigersi verso casa per prepararsi per la festa. I libri nella borsa iniziavano a pesarle dolorosamente e, prima di muoversi, li prese in mano per evitare di scorticare la pelle della spalla sotto la cinghia.

Lungo tutto il tragitto analizzò il suo assurdo comportamento del pomeriggio. Che le era saltato in mente da indurla a inseguire in quel modo uno sconosciuto? Ok, lui era veramente il ragazzo più intrigante che avesse mai visto, ma non si sarebbe mai immaginata a braccare qualcuno per un colpo di fulmine.

Probabilmente, se non avesse avuto quell’aria malinconica e non fosse fuggito come se avesse visto un demone, non lo avrei nemmeno notato!

Più rifletteva sull’episodio, più trovava sciocca e ridicola la figuraccia fatta davanti a un ragazzo così serio e timido. Ma in un angolo della sua mente sapeva di avere un conto in sospeso con quel tipo misterioso. Non sarebbe finita così!

“Ciao mamma!”

Come suo solito strillò il suo saluto chiudendo la porta di casa. Dalla cucina il rumore del coltello che picchiava sul tagliere si interruppe.

“Sei tu Candance?”

“Solo se non c’è qualcun’altro che ti chiami così!”

Entrò in cucina per stampare un bacio sulla guancia di sua madre.

Le due non si assomigliavano molto e la mamma sosteneva che Candance fosse identica a suo padre. Ma la ragazza non aveva idea di che viso potesse avere, essendo morto quando lei ancora non era nata per salvarle dall’incendio che aveva distrutto la loro casa e cancellato qualsiasi immagine esistente di lui. Una volta che la figlia aveva vinto la borsa di studio per Yale, Celeste non se l’era sentita di restare sola a San Francisco. Aveva cercato un nuovo lavoro a New Haven e si era trasferita non troppo distante dal campus.

Quella sera Cancance era tornata a casa per cenare con la madre e prendere degli stivaletti che le servivano per la festa:

“Come mai questa sera niente pizza?”

Chiese con impertinenza alla mamma.

“Fai meno la spiritosa ragazzina!” Ribatté Celeste Cooper alla figlia colpendole la mano con un mestolo “Questo non è per te, ma per la festicciola di domani a cui mi hanno invitato i vicini!”

“Non mi dire che ci sarà anche il taciturno ispettore Coine?”

Candance non fece nulla per nascondere una maliziosa complicità verso la recente novità nella vita di sua madre.

“Può darsi…”

Celeste in tutti quegli anni non aveva mai accettato la corte di un altro uomo e ora si sentiva in imbarazzo con la figlia, che cercava di diventare sua complice in quest’esperienza così nuova per entrambe. Celeste aveva conosciuto Jaime, ispettore della polizia di New Haven, due anni prima a una festa di quartiere e gradualmente avevano iniziato a frequentarsi. Inizialmente come amici, poi, complice un intero vicinato di casalinghe troppo romantiche e annoiate, l’interesse si era evoluto in qualcosa di più intimo.

Il suono del campanello la salvò da ulteriori domande.

“Queste devono essere le nostre pizze!”

Cinguettò.

Dopo la cena Candance andò a vestirsi per la festa. Fece appena in tempo a indossare i pantaloni neri e cambiare la maglietta quando il suo smartphone si animò per comunicarle che le ragazze erano sotto casa e l’aspettavano in macchina. Rovistò furiosamente nell’armadio in cerca degli stivaletti e della giacca di pelle, quasi senza fiato diede un bacio alla mamma e le strappò il giuramento di sentirsi per il racconto della cena con i vicini.

“Mi raccomando, non fare tardi!”

Celeste si sentì a disagio nel dispensare consigli materni a una figlia ormai adulta. Per fortuna la porta si era chiusa alle spalle di Candance prima che potesse sentirla.

“Scusate! Scusate! Scusate!”

Ansimò correndo verso la macchina di Kirsten.

“Meglio così tesoro: non arriveremo troppo presto! Non vorrai fare la figura della sfigata?”

Kirsten Foster era la tipica bellezza americana. Alta, bionda, occhi azzurri, pelle leggermente abbronzata, rampolla di una ricchissima famiglia della Georgia, per cui far laureare i discendenti nelle blasonate università del Nord era una questione di prestigio sociale. Qualsiasi cosa studiassero. Era stata ammessa alla celebre scuola di arte drammatica di Yale, anche se la sua vera passione era la scoperta di nuovi talenti americani, futuri componenti della classe dirigente. Meglio se di sesso maschile. Meglio se avvenenti. Meglio se single.

Beatrice rivolse all’ultima arrivata un’occhiata di intesa: considerato il livello di acidità mostrato in meno di un minuto, Kirsten era proprio di pessimo umore. Quindi nessuna domanda su Jody, futuro brillante lupo di Wall Street e suo attuale ragazzo. A meno che le cose non fossero cambiate nelle ultime ore.

“Candance ti sei almeno truccata?” L’apostrofò seccamente Kirsten, mentre le scoccava un’occhiataccia obliqua “Va bene, tanto sei uno schianto e tutti ti terranno comunque gli occhi addosso!”

Ma la biondina stava già sorridendo e le altre due scoppiarono a ridere.

Le ragazze iniziarono un’accesa discussione in cui, a critiche ai rispettivi look, si mischiavano pettegolezzi dal campus e aggiornamenti su corsi e studio. Per le ragazze non fu facile trovare un parcheggio vicino alla confraternita che ospitava la festa. Soprattutto a causa della macchinona di Kirsten e della sua paura di graffiarla:

“Potevi parcheggiarla tra quelle due macchine!”

Si lamentò Beatrice.

“Sei matta? Era strettissimo!”

Ribatté Kirsten fissando con apprensione la strada davanti a sé piuttosto che le file di auto parcheggiate.

“Ok, frena!” Si impose alla fine Candance “Fa guidare me.”

Controvoglia Kirsten lasciò il volante all’amica, che senza pensarci due volte si infilò nello spazio lasciato tra due macchine, ignorando le proteste di Kirsten.

“Se dessimo retta a te ogni volta, Kirst, passeremmo le nostre serate in macchina. In doppia fila!”

Candance detestava trattarla a quel modo, ma alle volte con l’amica doveva giocare quel ruolo di dura.

Dentro la confraternita scorrevano fiumi di birra. Da qualche parte qualcuno si stava cimentando in una sfida e il baccano dei sostenitori sovrastava la musica, già sufficientemente alta. Di Jody nessuna traccia, anche se Kirsten le costrinse a giri lunghissimi per accertarsi che non fosse presente:

“Ecco gli altri!”

Esclamò indicando un punto imprecisato sul fondo della stanza.

Le ragazze si fecero strada fino al resto del gruppo.

Ad attenderle c’era anche Rob, per cui Beatrice aveva una cotta con costanza alimentata da Candance, che non vedeva l’ora si mettessero insieme. Le altre due lo trovavano proprio perfetto per l’amica. Alto, ben piazzato, forse i suoi occhi erano un po’ piccoli e distanti, ma veramente vigili e intelligenti. Frequentava Legge con Candance ed era tra quelli che non si era mai dimostrato interessato a lei, il che costituiva per la ragazza un elemento a suo favore. Dopo poco tempo Beatrice e Rob andarono insieme verso il bar e quando furono di ritorno Beatrice prese da parte le amiche:

“Mi ha proposto di pranzare insieme domani!”

Beatrice non stava nella pelle per l’entusiasmo.

“Wow!”

Urlarono le altre due contemporaneamente.

“Oddio, non riesco a ragionare!”

Beatrice era emozionatissima: da quando non aveva un appuntamento?

“Stai tranquilla, domani mattina vengo in camera da te e ti aiuto a scegliere i vestiti!”

Kirsten adorava essere la consulente d’immagine del gruppo.

“E magari pensiamo insieme a qualche argomento di conversazione, per prevenire silenzi imbarazzanti!”

Aggiunse Candance, a conoscenza di quella timidezza paralizzante che attanagliava l’amica nelle situazioni meno opportune.

“Per domenica siamo tutte invitate all’escursione al Sleeping Giant State Park che ha organizzato con un altro gruppo di amici!”

A Beatrice sembrava un’occasione troppo eccitante per farsela sfuggire.

“Wow…”

Questa volta l’entusiasmo di Kirsten era tutt’altro che sincero e Candance le assestò una gomitata sul fianco. Quando l’entusiasmo per l’appuntamento di Beatrice si affievolì, Candance si ricordò che anche lei aveva qualcosa da raccontare alle amiche e brevemente riportò il suo incontro con il bellissimo studente di medicina:

“E, quando stavo per raggiungerlo, l’ho visto passare oltre il muretto del parcheggio in sella a una moto scura, indossando un casco nero...”

“Quindi, piuttosto che un principe azzurro, abbiamo un cavaliere oscuro!”

Sottolineò Beatrice, ancora raggiante e di ottimo umore.

“Conosco tutti i futuri giovani medici di Yale - almeno quelli che vale la pena conoscere - e questo ragazzo non corrisponde a nessuna descrizione!” Commentò Kirsten scuotendo la bionda capigliatura con amarezza “Probabilmente appartiene a un’altra facoltà, oppure è un ex studente…”

Il pessimismo dell’amica fu invece d’ispirazione:

“Sarà una sfida, ma scoprirò chi è! A costo di corrompere la bibliotecaria di medicina.”

Le altre due risero perché sapevano che ne sarebbe stata capace:

“E poi cosa farai: lo incatenerai a una sedia per parlarci?”

Chiese scettica Kirsten.

“Hai ragione: devo pensare a una strategia!”

Ma Candance Brewer non aveva mai ricevuto un rifiuto e nessun ragazzo, per quanto schivo, poteva resisterle troppo a lungo. Le due amiche conoscevano bene quello sguardo determinato: chiunque fosse il principe azzurro, era spacciato.

La mattina successiva Candance si svegliò con un leggero mal di testa. Birra, musica ad alto volume e ore piccole non erano una combinazione che amasse particolarmente. Mentre silenziava la sveglia accanto al suo comodino, appuntò mentalmente di ricordarsi che in futuro sarebbe stato meglio evitare le feste all’inizio della settimana.

Senza troppa convinzione si svestì per indossare la tuta da jogging e le scarpe. Non dubitava che una bella corsa e la successiva doccia l’avrebbero rimessa in sesto per il resto della giornata, ma a quell’ora del mattino l’aria era ancora fredda e rimpiangeva il caldo delle coperte. Nel campus aleggiavano i residui di una leggera bruma notturna e unicamente i colori sgargianti delle tute indossate da altri sportivi come lei indicavano la presenza di persone per la strada.

Sistemò con cura gli auricolari e avviò la sua playlist. Sicuramente un po’ di rock l’avrebbe aiutata a sostenere il ritmo della corsa. Era stato Rob a consigliarle quel gruppo che lei non aveva mai sentito nominare e concentrarsi sulle parole delle canzoni la distraeva dallo sforzo fisico. Candance ascoltò più di una volta qualche brano, vagamente cosciente dei palazzi che sfilavano al suo fianco mentre cercava di adeguare il passo della sua corsa mattutina al ritmo incalzante della batteria. Non le dispiaceva per niente. Avrebbe dovuto ringraziare Rob per quella scoperta.

Stava pensando a questo quando si rese conto di essere arrivata fino all’ingresso della Scuola di Medicina. Sorrise tra sé e sé ricordando le sembianze raffinate e gli occhi malinconici del ragazzo della biblioteca la sera precedente. Dando spago al suo inconscio, che aveva condotto fin lì la sua corsa senza meta, fece il giro dell’edificio per andare verso il parcheggio in cui il ragazzo l’aveva seminata e da lì entrò nel piccolo parco creato tra gli stabili che costituivano la facoltà. A quell’ora aveva un aspetto vagamente inquietante e Candance fece un rapido giro per non ammettere di avere paura. Cercò di memorizzare le uscite che vi si affacciavano: se quel luogo doveva diventare il suo territorio di caccia nei prossimi giorni, voleva essere sicura di conoscerlo bene. Aveva programmato di tornare a studiare nella biblioteca doveva aveva incrociato quegli occhi azzurri indimenticabili, una volta finite le sue lezioni mattutine. Diede un rapido sguardo all’orologio e decise che per quella mattina poteva anche bastare.

Arrivata alla sua camera si fiondò sotto la doccia e il getto di acqua bollente fu un vero conforto. Per fortuna in quei giorni la sua compagna di stanza era fuori e lei non avrebbe dovuto fare attenzione a non indispettirla. June non era proprio il tipo di persona con cui Candance si sarebbe augurata di condividere la camera: per niente amichevole, ancora meno tollerante. Con lei non osava fare la prepotente in modo diretto, ma sapeva che aveva richiesto di cambiare stanza. Era con vero piacere che, quando l’altra era fuori, lei si godeva le sue brevi soste nella stanza del campus. Quella mattina però aveva una certa fretta e, dopo una veloce tappa alla mensa per prendere un caffè, si diresse verso l’aula in cui si teneva il corso.

“Che hai per la testa?”

La collega accanto a lei non riuscì a trattenersi dal domandare vedendola insolitamente distratta durante la lezione. Candance si accorse in quel momento di aver lasciato divagare i propri pensieri in direzione di quel ragazzo misterioso a cui doveva ancora dare un nome. Sorrise imbarazzata alla sua collega ed inventò una diversa motivazione per giustificarsi. Le due ore successive furono una vera e propria tortura rispetto al solito entusiasmo che l’accompagnava durante le lezioni.

“Candance ti va di venire a pranzo con noi?”

L’invito partiva da uno dei ragazzi con cui studiava e che aveva un’evidente cotta per lei:

“Mi dispiace Glenn, ho già un impegno per pranzo…”

Inventò di sana pianta per declinare l’ennesimo invito. Quando avrebbe capito che era partita persa?

In realtà l’unico impegno che Candance aveva era con la sua nuova e inattesa ossessione. Non era ancora arrivata l’ora di pranzo e lei era già di ritorno alla biblioteca di Medicina.

Incassò con umiltà l’occhiata di rimprovero con cui l’impiegata al banco la accolse per averla costretta a riordinare i libri lasciati sulla scrivania nella foga dell’inseguimento. Per mitigare il senso di colpa di non aver rispettato le regole, Candance la salutò con un sorriso timido:

“Mi dispiace non aver riordinato ieri sera: ho ricevuto una chiamata urgente…”

La gentilezza con cui cercò di scusarsi doveva aver già fatto effetto sulla donna:

“Non ti preoccupare cara, ma cerca di non farlo più!”

Candance annuì, soddisfatta per essere riuscita ad ammansirla semplicemente ammettendo la propria colpa, e andò a sistemarsi in fondo alla sala di lettura, da dove poteva tenere vigilare sull’ingresso senza dare troppo nell’occhio. Purtroppo la sua attività spionistica non si sposava con lo studio. Un improvviso brontolio del suo stomaco le ricordò di dover pranzare. Aveva passato lì almeno due ore con scarsi risultati nella preparazione dei suoi esami e nella caccia all’uomo in cui era coinvolta. In compenso aveva dovuto respingere le attenzioni di uno studente troppo loquace.

Svogliatamente andò verso un distributore automatico e si comprò un panino preconfezionato e un succo di frutta in brick. Non era il massimo, ma doveva ancora organizzare nei dettagli il suo pedinamento. Almeno avrebbe potuto mangiare nel parco, all’aperto, e curiosare in giro. A quell’ora la facoltà non era molto affollata e, contrariamente a quanto Candance sperava, la facciata regolare dell’edificio non dava modo di vedere gli uffici all’interno. Nessuna grande vetrata, soltanto normali finestre che limitavano moltissimo la visuale.

Fu mentre scorreva le finestre del primo piano che il suo sguardo fu calamitato da un viso noto. Il sole che batteva sulla finestra lo disturbava e il ragazzo stava strizzando gli occhi, mentre si concentrava in qualcosa posto sotto il livello del davanzale, ma il viso era lo stesso splendido ovale che l’aveva ossessionata nelle ultime ore.

Candance si avvicinò ancora.

Il ragazzo era in piedi a ridosso della finestra. Dalla sua posizione, intuì che stesse leggendo qualcosa su un ripiano davanti a lui. Mosse le labbra in una lettura di cui lei non percepiva nessun suono. Ma non doveva essere solo nella stanza e si voltò per sorridere in direzione di chi stava alle sue spalle. Il sorriso che illuminò il suo viso era più intenso della luce del sole che ne baciava i capelli biondi:

Chi riceve un sorriso del genere non può che considerarsi fortunato.

Pensò con una punta di invidia.

A Candance tremarono le ginocchia. Se lui avesse sollevato in quel momento lo sguardo verso il parco sottostante, nulla gli avrebbe impedito di vederla. Senza che lei avesse il tempo di riflettere sull’eventualità di essere scoperta, la fugace ombra di un turbamento attraversò il viso sorridente alla finestra. Le labbra del ragazzo si serrarono in un’espressione corruciata, nascosta al suo interlocutore. Candance, invece poté assistere al mutamento nell’espressione del ragazzo. Qualcosa sembrava improvvisamente disturbarlo profondamente. Come se la fonte di quel fastidio gli fosse diventata chiara, sollevò senza esitazione gli occhi dritto verso quelli di lei.

Guardandola il ragazzo non le sembrò furioso, o risentito, quanto rassegnato.

Mortificata per essere stata individuata, Candance non riuscì a nascondere un sussulto. Nonostante fosse stata colta in flagrante, cercò di svignarsela con quanta più dignità riuscì a recuperare. Senza fretta e con disinvoltura si portò la cannuccia del suo succo alle labbra e, guardando rigorosamente verso il basso, fece dietro front.

Com’è stato imbarazzante!

Candance avrebbe volentieri sbattuto la testa contro il muro, se questo fosse stato sufficiente a farle dimenticare di essere stata beccata dal diretto interessato mentre lo spiava. In quel momento non si sarebbe sicuramente avvicinata all’ala dell’edificio in cui si trovava l’ufficio da cui il giovane si era affacciato. Ma poteva andare all’ingresso della facoltà per scoprire quale dipartimento ci fosse lì e avere degli indizi in più sulla sua identità.

Si diresse verso l’androne centrale, dove di sicuro avrebbe trovato quello che cercava. Una mappa era stata appesa alla parete. Ragionò con calma per collocare, con sufficiente approssimazione, nella piantina che aveva davanti agli occhi l’ufficio da cui lo aveva visto affacciarsi. Poi fece scorrere il dito in prossimità di quello che aveva individuato come l’ufficio giusto. Trattenne il fiato mentre leggeva:

 

SCAMBI INTERNAZIONALI

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