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Candance

Nel laboratorio di chimica la strumentazione produceva un sottile ronzio di sottofondo, regolare e soporifiero. L’attività di tutti quei macchinari e il greve odore dei solventi ricordavano a Beatrice Cohen che non sarebbe dovuta già più essere lì e di essere in ritardo. E nessuno voleva essere in ritardo se ad attendere c’era Candance Brewer, nemmeno lei che era la sua migliore amica. Candance odiava i ritardatari e a lei non piaceva contrariarla. Si sentiva sempre a disagio quando accadeva, anche se poi non le aveva mai rinfacciato nulla e non si era mai mostrata adirata nei suoi confronti. Era sempre il ritratto della gentilezza e della comprensione. Forse era quell’atteggiamento a metterla in soggezione: si sentiva immeritevole di tanta pazienza!

Beatrice non poteva sganciarsi facilmente, né poteva avere libero accesso al suo smartphone per avvisare l’amica. Non poteva farlo perché, in qualità di tutor, stava collaborando a un esperimento con il suo mentore: non poteva deludere uno dei più grandi luminari della chimica contemporanea per andare a prendere un caffè con un’amica. A Beatrice non restava che seguire con uguale impazienza le lancette dell’orologio, appeso alla parete del laboratorio, e l’andamento dell’esperimento.

A memoria ne ripeté le varie fasi. Era così semplice ora che lei era diventata assistente, ma l’aveva terrorizzata eseguirlo la prima volta da studentessa. La ragazza stava valutando che la lezione non sarebbe potuta durare ancora a lungo, quando il professore interruppe la procedura e con autorevolezza si rivolse agli studenti del primo anno:

“Domani ci ritroveremo in questo stesso laboratorio per osservare i risultati della prima fase del nostro esperimento.”

E sorridendo con la sua abituale gentilezza li congedò.

Non diede al professore nemmeno il tempo di emettere quel tipico sospiro di sollievo che seguiva la fine della lezione e gli si affiancò:

“Ho revisionato la relazione per la conferenza di domani.”

“La trovo sulla scrivania?”

Beatrice annuì diligentemente.

“Grazie Beatrice, puoi andare.”

Non se lo fece ripetere una seconda volta: non sarebbe stato eccezionale se si fosse improvvisamente ricordato di un articolo pubblicato di recente da qualche collega da commentare con lei. Corse via verso gli armadietti del laboratorio e, mentre con una mano si sfilava il camice da laboratorio, con l’altra afferrava giacca e borsa:

Sto arrivando. Scusa!

Digitò velocemente sullo schermo dello smartphone.

Poteva immaginare con chiarezza Candance, seduta da sola al tavolino del bar. I verdi occhi felini che sullo smartphone scorrevano irrequieti la bacheca del suo account sui socialnetwork, i capelli corti che le piovevano con impertinenza sul magnifico volto. E una piega imbronciata sulla bocca morbida e larga, che solitamente dava l’impressione di essere sul punto di sbocciare nel più solare e contagioso dei sorrisi.

Beatrice superò quasi di corsa Prospect Street, che separava i laboratori di chimica dell’Università di Yale e la caffetteria in cui si erano date appuntamento. Tra tutti gli studenti che affollavano i tavolini del locale a quell’ora non faticò a individuare la sua amica. Le fu sufficiente dare una sbirciata a quello che sembrava essere il tavolino verso cui era concentrata l’attenzione dei presenti. Era sempre uno spettacolo bizzarro assistere all’effetto che Candance produceva su chi le stava intorno. Nonostante ci fossero ragazze altrettanto belle nel campus, non ce n’era nessuna che attirasse gli sguardi come lei. Beatrice non si era mai imbattuta in un’altra persona che fosse così carismatica e al contempo riservata. Sì, perché anche se Candance era bellissima, una bellezza fuori dal comune che costituiva una specie di calamita per gli occhi di tutti coloro che le stavano intorno, c’era qualcosa di più profondo e forte in lei ad alimentare l’ammirazione che riscuoteva negli altri. Qualcosa di indefinito e di indecifrabile anche se era lì, davanti a tutti loro, senza che nessuno fosse in grado di dargli un nome.

Fu seguendo l’inconsapevole direzione degli sguardi, maschili e femminili, che Beatrice individuò l’altra indolentemente abbandonata sulla sedia del bar, appena consapevole di avere addosso gli occhi di tutti. I lineamenti nobili e fieri si sollevarono e il ciuffo di capelli scuri che le nascondeva gli occhi si spostò lateralmente, come obbedendo a un ordine preciso. Come se Candance avesse dato un comando, il suo movimento indusse gli sguardi altrui a ritirarsi. Sembravano tanti granchi in fuga da un’onda improvvisa:

“Bibi, finalmente!”

Le sussurrò alzandosi per abbracciarla. Dal suo viso il broncio era scomparso e la bocca si era schiusa nel sorriso luminoso e perfetto che Beatrice si aspettava di vedere. E da cui si sentì immediatamente riscaldata:

“Scusami, sono in super ritardo!”

Beatrice aggiunse mentre sistemava le sue cose sulla sedia libera, ignorando gli sguardi che assistevano al loro incontro e nuovamente si fissavano sulla sua amica. Ecco che l’onda si era ritirata e i granchi invadevano un’altra volta il bagnasciuga.

“L’importante è che sia arrivata: abbiamo mezz’ora prima che ti lasci e vada alla biblioteca della Facoltà di Medicina.”

Candance non fece nemmeno in tempo ad abbozzare un cenno al cameriere che quello era già al suo fianco, sorridente e pronto a servirla. Beatrice imbarazzata chiese il suo caffè alla nocciola:

“Che ci vai a fare alla biblioteca di Medicina?”

“Si tratta di un’esercitazione per il corso sulla costruzione dell’impianto probatorio: il libro che mi serve lo hanno solo lì!” Come al solito il suo viso si illuminava quando parlava dello studio, anche se la prospettiva era quella di passare delle ore in una biblioteca polverosa a studiare su testi complicatissimi “Vedrai che metterò a segno un bel colpo e l’esame con il prof. Guys andrà alla grande!”

Beatrice adorava la sua amica, anche per la sua inesauribile energia.

Si erano conosciute durante una festa al primo anno. Candance era letteralmente una star tra le matricole, per quanto avesse fatto di tutto per scansare questa fama.

Era arrivata da poche settimane a New Haven da San Francisco e si era sistemata in città con la madre, che l’aveva seguita dalla costa occidentale degli Stati Uniti. Sembrava una principessa, con l’aria innocente ma determinata e i lunghi capelli scuri. Beatrice l’aveva vista qualche volta al campus e aveva capito perché fosse diventata una leggenda. Quando, per sfuggire all’attenzione che si stava addensando intorno a lei, si presentò all’università con un taglio di capelli cortissimo, quasi maschile, in realtà non fece che aumentare la sua fama a Yale e, di conseguenza, crebbe il nugolo di fan e di invidiose. E i capelli scuri alla maschietta divennero rapidamente una moda in città.

Fu proprio allora che Beatrice la incontrò. Durante una festa si era versata un cocktail addosso e Candance, avendo assistito alla scena, non poté fare a meno di intervenire in suo aiuto:

“Ho visto dove sono i bagni: vieni con me!”

Beatrice avrebbe voluto sprofondare per chilometri nelle viscere della terra e le sue colleghe la scrutavano imbambolate, ma Candance le prese la mano e la incoraggiò a uscire dall’imbarazzo. Sarebbe stato davvero difficile non sentirsi rassicurati dalla sua presenza. E le altre smisero istantaneamente di scambiarsi occhiatine malevole tra di loro e si defilarono tra la folla. La scintilla dell’amicizia era scoccata istantaneamente tra la brillante, ma un po’ goffa, studentessa di chimica e la bellissima e determinata matricola di Legge. Alla fine cercando di togliere quella macchia Candance aveva fatto un tale pasticcio da offrirsi di lasciare la festa insieme e accompagnarla a casa.

Da allora erano diventate il nucleo di un gruppo di amici: prontissime ad animare ogni serata e a darsi man forte contro le avversità.

“Abbiamo pochissimi minuti per parlare della festa di stasera!”

“Non ti preoccupare per quello: mentre ti aspettavo ho mandato un messaggio in chat agli altri!”

“Tu come ti vestirai?”

Beatrice si informò con discrezione sull’outfit della sua amica: pur non essendoci invidie tra di loro, cercava sempre di evitare che gli altri le mettessero a confronto. La perfetta Candance e Beatrice, una ragazza normale dal viso pallido e il corpo giunonico.

“Non sono ancora sicura, ma credo che vestirò completamente di nero, con gli ankle boots. Tu, invece?”

“Proprio non lo so! Ora farò un giro di shopping e poi deciderò.”

Le due ragazze discussero animatamente sugli altri ragazzi che sarebbero andati alla festa.

“Hai notizie di David?”

Chiese timidamente Beatrice.

Candance scosse la testa decisa:

“Da quando ci siamo lasciati non si è più fatto sentire...”

Era sempre stata molto generosa nel non sottolineare con nessuno che era stata lei a spezzargli il cuore, lasciandolo dopo quattro anni insieme. Le sembrava che, diffondendo questa versione dei fatti, David ne sarebbe venuto fuori con più dignità. Invece lui aveva preso la sua dignità e aveva cercato di ridurla a brandelli. Era stato avvistato più di una volta completamente ubriaco mentre piangeva come bambino invocando il suo nome. Ma nelle ultime settimane circolava una voce che faceva ben sperare:

“Pare che una squadra di basket ne voglia fare un professionista!”

Candance annuì con un sorriso misto di compassione e speranza:

“L’ho sentito pure io! Mi auguro che sia vero: se lo merita!”

David era un giocatore di grande talento, una delle migliori scoperte sportive di Yale negli ultimi anni, e insieme avevano formato la coppia perfetta: quella che riceveva il maggior numero di inviti alle feste di tutto il campus e che tutti si contendevano come ospiti, o durante le uscite tra amici. Fino a che Candance non aveva iniziato a chiedersi cosa condividessero oltre alla mondanità. Cosa sarebbe successo dopo Yale? Lui sarebbe stato preso da una squadra chissà dove e sarebbe stato in giro per tutto il campionato, per poi passare a un’altra squadra e riniziare da capo. Mentre lei avrebbe iniziato la sua carriera in uno studio, senza poterlo seguire e senza avere una vera vita di coppia. Trovandosi sola a gestire qualsiasi problema, inclusi i figli se ne avessero avuto. La coppia d’oro del campus aveva preso la sua china discendente fino ad appassire del tutto.

Erano entrambe single e Candance, ormai, era decisa a spingere Beatrice tra le braccia di un suo collega, Rob.

“Sai che Kirsten e Jody sono nuovamente in crisi?” Kirsten era il terzo vertice del loro triangolo di amicizia femminile “Pare che stasera verranno separatamente alla festa!”

“Quei due sono sempre in crisi!” Sottolineò Candance mentre guardava l’orologio “Devo scappare verso la biblioteca ora!”

Beatrice sentì gli sguardi addensarsi di nuovo su Candance, mentre lei raccoglieva frettolosamente giacca, libri e borsa e si affrettava verso il dipartimento di medicina.

“Ok, passo a prenderti io! Ci sentiamo in chat per i dettagli!”

Candance stava per superare l’ostacolo degli ultimi tavolini e raggiungere l’uscita quando Beatrice si rese conto di non aver deciso nulla per la serata. Si voltò ancora una volta a sorriderle in segno di conferma e Beatrice poté quasi sentire il suono dei cuori spezzati.

Arrivata alla sua macchina, Candance mise le sue cose sul sedile del passeggero e si diresse lungo College Street verso la Facoltà di Medicina. Detestava doversi muovere in auto, ma non sapeva a che ora avrebbe finito le sue ricerche e doveva ridurre al minimo i tempi dello spostamento. Era la prima volta che visitava la Facoltà di Medicina e dovette fare ampi giri per trovare l’ingresso. Fortunatamente il modulo per la richiesta di consultazione non le rubò troppo tempo. Al banco informazioni la bibliotecaria le indicò dove reperire il libro che cercava. Candance prese dallo scaffale il libro e con questo pesante fardello andò a sistemarsi in uno dei banchi di lettura liberi.

La sala studio si sviluppava su due piani e i banchi erano a ridosso delle librerie al piano terra. Organizzando il suo materiale di studio nello spazio davanti a sé, Candance diede un’occhiata all’ambiente.

La solennità del camino in pietra sul fondo della sala e in mezzo alle due ampie finestre, il legno massello con cui erano costruiti scale e soppalchi, l’arredamento che sembrava quello originale degli anni cinquanta, ispiravano alla dedizione e all’impegno nello studio. Per fortuna la sala non era gremita e i pochi altri ragazzi erano immersi nella lettura.

Detestava studiare in luoghi troppo affollati quando doveva concentrarsi: solitamente qualcuno cercava di avvicinarla, distraendola. Aprì il libro che aveva richiesto e si concentrò nella lettura, cercando di dare una risposta al dubbio che le era venuto sui risultati dei test forensi nel caso che dovevano dibattere al corso. Se il suo sospetto si fosse rivelato la pista giusta da seguire l’accusa, a cui apparteneva, avrebbe potuto parare abilmente una delle tesi avanzate dai colleghi che impersonavano la difesa.

Al primo dei manuali se ne aggiunsero altri intorno a Candance, per la quale ogni nuovo elemento che riusciva a inquadrare apriva la strada a ulteriori quesiti. Freneticamente leggeva, prendeva appunti e fotografava con lo smartphone immagini di cui avrebbe potuto avere bisogno in seguito per ricostruire le sue annotazioni.

Era ormai pomeriggio inoltrato, gli occhi iniziavano a bruciarle per la stanchezza e la schiena a farle male per la posizione. Pigramente si stiracchiò guardandosi intorno. La biblioteca era quasi vuota e poche delle postazioni intorno a lei erano illuminate.

Nel banco davanti al suo c’era solo un ragazzo la cui presenza le era sfuggita all’arrivo. Doveva essersi seduto quando era completamente assorbita dalle proprie ricerche.

Piuttosto che uno studente di medicina le parve uno sportivo, dal fisico atletico e le ampie spalle. Forse era grazie alla distanza e la fioca luce della lampada da tavolo, ma non sembrava per niente male e iniziò a osservarlo con curiosità.

Il giovane medico aveva il viso rivolto verso i testi sulla sua scrivania, ma Candance notò che aveva un ovale dai tratti delicati e delle labbra asciutte e ben definite. Il viso di lui le trasmise una sensazione di forza e sicurezza. I capelli dal caldo colore biondo, leggermente lunghi, gli davano un’aria da principe azzurro.

Devo essere proprio stanca se spio gli estranei!

Considerò la possibilità di andarsene a casa per prepararsi alla festa.

Distrattamente sfogliò i suoi appunti e il fruscio prodotto dai fogli attirò l’attenzione del ragazzo, che sollevò lo sguardo infastidito nella sua direzione.

È più che carino!

Valutò, trovandosi a fissare apertamente lo sconosciuto.

Il naso, del ragazzo era dritto, piccolo, sottile, praticamente perfetto e le folte sopracciglia bionde mettevano in evidenza gli occhi più azzurri che lei avesse mai visto. Uno sguardo in cui non lesse soltanto il fastidio di essere stato distolto dai suoi studi, ma anche un’insolita e profonda malinconia. Nel complesso quel volto le ispirava affidabilità, un animo pulito e candido. Era il viso di una persona buona.

“Un principe…”

Bisbigliò tra sé.

Le labbra del principe si incresparono come se reagisse a un dolore improvviso e intenso, quasi insopportabile. Distogliendo bruscamente lo sguardo da Candance, il ragazzo impilò libri ed appunti e li cacciò con forza in uno zaino nero. Raccolse il casco e la giacca che aveva lasciato nella sedia accanto alla sua e senza indugi prese la via dell’uscita.

La sequenza si era svolta così velocemente da lasciarla interdetta.

Sarò stata io a offenderlo?

Lei fuggiva così ogni volta che qualcuno la fissava con insistenza e ora si trovava proprio nella schiera dei molestatori. Un vago senso di vergogna la pervase. Ma l’immagine di quel ragazzo, la cui bellezza poteva essere paragonata solo a quella di un dipinto, le si era impressa con tale forza nella mente da non poterlo lasciar andare via senza sapere chi fosse. In lei era scattato un istinto mai provato prima. L’urgente necessità di parlare a quel ragazzo, di averlo per sé. Di lavare dai suoi occhi limpidi come il cielo l’ombra di malinconia che vi aveva letto.

Beh, in fondo anch’io stavo per andare via.

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