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La fine dell'estate

“Fallo.”

La voce di suo fratello era asciutta. Tagliente.

Il riflesso di una lama nella penombra della stanza.

Il bambino biondo lo guardò incerto.

I tratti del bellissimo volto che incombeva su di lui non erano alterati e nulla tradiva dispetto o rabbia. Nessuna traccia di risentimento lasciava intuire le ragioni di quanto gli stava imponendo. Il bambino biondo aveva davanti a sé il fratello maggiore, esattamente come lo aveva sempre visto. L’angelo dalla pelle chiara e i capelli scuri, quasi neri. Il suo mito. Confusamente sentiva che la richiesta formulata dalle labbra del fratello non aveva nulla a che vedere con la colpa, con i concetti di giusto o sbagliato, premio o punizione. Non aveva nulla a che vedere con qualsiasi cosa avesse fatto, ma piuttosto con l’oscuro e profondo campo di forza che aleggiava costantemente nella loro enorme dimora. Il bambino biondo lo poteva percepire come il motore dietro le loro vite. Un’energia strisciante e subdola che partiva dal loro padre e incombeva su tutti gli abitanti della casa. Era come se il fratello fosse stato introdotto ai misteri di quella corrente di energia opprimente e ora ne stesse sperimentando gli effetti su di lui.

Nel gelo degli occhi celesti dai profondi riflessi d’acciaio che lo fissavano, il bambino capiva che non avrebbe trovato indulgenza da parte di chi era stato il suo migliore amico, il suo difensore, fino al momento in cui era venuto a interrompere i suoi giochi innocenti con quella richiesta. In mano il tagliacarte con il manico in avorio che stava sulla scrivania del padre. La sua volontà era ancora troppo acerba per opporsi a quella del fratello maggiore. Come avrebbe potuto riuscire in quello che nemmeno i più grandi erano in grado di fare?

L’immagine della loro mamma, bionda e algida, che chinava la fronte davanti al figlio maggiore e, tacendo, ubbidiva si dipinse nella sua mente. Come erano distanti ora il suo profumo e la sua protezione. Ma forse anche lei avrebbe ritenuto opportuno che il bambino biondo eseguisse i comandi del fratello. Forse lei avrebbe dato una spiegazione a quanto stava avvenendo, ma sarebbe stata incapace di intervenire in suo favore. Nel profondo sentiva agitarsi l’ombra di questi inconsapevoli pensieri.

Doveva sforzarsi di realizzare che lo avrebbe affrontato da solo. Tutti si sentivano soli e sperduti davanti a lui. Forse anche il loro padre, che era l’unico a dominare quella strana energia, non sarebbe stato del tutto in grado di contrastarlo. Spesso anche lui si scopriva a seguire gli impulsi del figlio maggiore. Il bambino biondo percepiva gli sguardi inquieti che i genitori si scambiavano, le rare volte che si trovavano con loro.

Trascorsero alcuni istanti in silenzio, soltanto il ronzare pigro di un calabrone all’esterno rompeva la quiete della stanza.

Il più grande dei due fratelli era in quell’incerta zona d’ombra tra l’infanzia e l’adolescenza, quando si perdono i tratti infantili e già si distinguono i primi segnali di un’imminente trasformazione verso un viso adulto. Le sue labbra avevano appena abbandonato la morbida tenerezza dell’innocenza e già erano state riempite di una maliziosa sensualità, così prematura rispetto ai suoi undici anni. La bocca si schiuse con lentezza calcolata:

“Fallo.”

Lo sguardo del maggiore non era turbato. Aveva dato un ordine e si aspettava che venisse eseguito. Nemmeno l’attesa lo inquietava. Le sue labbra si richiusero in una perfetta linea retta. Era scomparsa l’impercettibile curvatura all’angolo sinistro della bocca, che gli caricava il volto di cinico disprezzo. Non c’era traccia della sua spavalderia o dell’energia con cui si impegnava a sfidare le regole. Solo distacco e freddezza.

Per quanto l’ordine lo atterrisse, il piccolo non vedeva davanti a sé alternative alla cieca obbedienza. Spesso sentiva che il fratello riusciva a piegare tutti alle proprie decisioni, soprattutto quando la sua voce assumeva quella nota ferma e gelida e i suoi occhi celesti esprimevano una richiesta inflessibile. Non si era mai rivolto a lui in quel modo, ma sapeva che c’era qualcosa di definitivo nella sua voce. Qualcosa che non dava scampo e cui lui, in ogni caso, non avrebbe saputo come resistere.

Nel padre aumentavano diffidenza e odio nei confronti del primogenito e il più giovane capiva che questo livore nasceva dall’affinarsi delle capacità manipolatorie del fratello.

Era poco più che un lattante quando era iniziato quel braccio di ferro tra padre e fratello, ma poteva ricordare il momento esatto in cui tutto era cambiato. Qualcuno dall’esterno lo avrebbe scambiato per un episodio qualunque della vita famigliare. Solo per chi era vittima di quella funesta energia la scena avrebbe avuto un’impressione così schiacciante.

Fissando la sua mano paffuta di bambino, rievocò quel momento.

Appena un anno prima le pretese del fratello maggiore riguardavano unicamente la loro madre, la servitù, il fratellino. Poi, come alla convulsa ricerca di un rivale più forte da sfidare, l’obiettivo era diventato il loro padre, spesso assente, sempre sfuggente. Forse per questo non si era reso conto del cambiamento nel figlio, che si affacciava a un’adolescenza prematura.

Inizialmente si era trattato di pretesti banali, delle scaramucce che il padre aveva troncato con appena un’ombra di fastidio. Fino a che, davanti al rifiuto paterno, anche l’inalterabile angelo oscuro che era suo fratello non perse il controllo e la sua voce si incrinò per la frustrazione. Segnando inesorabilmente la fine di un equilibrio precario. Il loro padre sollevò appena lo sguardo in direzione del figlio maggiore senza rivolgergli una sola parola, ferendolo semplicemente con lo scherno nei suoi occhi.

Era stato da quel momento, anche per il bambino biondo, che la figura paterna aveva iniziato ad avere una consistenza reale.

Da quell’episodio una muta guerra tra il padre e il più grande dei figli per spostare l’ago della bilancia a proprio favore riempì la casa di un odio nuovo. Di nuovi terrori.

Si trattava di sottrarre all’altro il monopolio di quella inesplicabile forza. Il fratello, che fino a poco prima rappresentava per il bambino biondo l’unico amico negli ampi vuoti della sconfinata casa, divenne un’oscura e indefinita minaccia. Il bambino poteva a malapena intuire che lui e sua madre erano diventate delle pedine e nulla, nei rapporti tra loro tre, si sottraeva alla più cinica delle manipolazioni, se questa era necessaria a vincere anche una singola battaglia nella guerra che portava avanti contro il padre.

Pochi mesi dopo il primo scontro, il bambino biondo aveva potuto origliare, non visto, una conversazione tra i genitori. I suoi giochi lo avevano portato a inseguire chissà quale fantasia fino allo spazio proibito dello studio personale del padre. Aveva commesso l’imperdonabile leggerezza di costruirsi un riparo in un vano dell’immensa libreria che dominava la stanza. Quei libri sembravano tanto vecchi da aver perso il concetto stesso del trascorrere del tempo. Lo intimorivano e lo incuriosivano in egual misura. Voleva uscire anche lui dal tempo e si ranicchiò nel basso scomparto semivuoto, prendendo la sola precauzione di accostare lo sportello scorrevole. Poi era stato troppo tardi e il rifugio di un gioco era diventato il nascondiglio dal padre. Entrò seguito dalla moglie, che si lasciò dietro una scia di profumo dolce e pungente mentre spostava i capelli dorati sulla spalla destra e si sedeva davanti a lui. Inconsapevolmente frapposta tra il figlio e il marito.

“Non può essere diversamente?”

Sentì dire alla madre, di cui scorgeva la bionda nuca e le spalle, rigide per la tensione.

“Non c’è altro modo.” La voce del padre era distante, svelava una determinazione irremovibile “È così che si prende il comando, questo è il suo primo approccio con la gestione del potere.”

La donna sembrò esitare. Il bambino biondo capì che la sua mamma voleva formulare una richiesta, ma non trovava le parole adeguate:

“Durerà ancora per molto?”

Certe volte sembrava accontentarsi di porre delle domande invece che altre. Come se non si aspettasse veramente una risposta.

“No: alla fine dell’estate verrà allontanato.” Il padre si raddrizzò sulla sedia a disagio nel dare la notizia alla moglie “Così potrà iniziare la sua educazione al ruolo che gli spetta e condurrà altrove i suoi giochi di potere.”

“Lo allontani perché minaccia la tua autorità?”

Non era da lei l’urgenza con cui si rivolgeva al marito in quel momento.

Il bambino biondo si aspettava di assistere a uno scoppio di collera da parte del padre, invece lo sentì spiegare cercando di mostrarsi comprensivo:

“Lo allontano perché non può vincermi e la sua sconfitta nuocerebbe alla nostra famiglia più di quanto non ti sia dato capire.”

La nuca bionda si volse verso la finestra e la luce che ne entrava illuminò il dolce profilo della bellissima donna. Le sue guance rosee, appena velate dal fard, le lunghe ciglia e gli occhi, così simili a quelli del figlio minore, sembrarono assorbire quella luce. I capelli le sfioravano in morbide onde bionde e calde la camicia rosa cipria in seta.

Quello sarebbe stato, per il resto della sua vita, il ricordo più intenso della madre. Un’immagine rubata dallo spiraglio sulla sua bellezza lasciato accidentalmente da un bambino incauto. Probabilmente furono l’impotenza che cresceva in lei, la frustrazione per l’imminente sconfitta, a rendergliela memorabile in quel frangente. Sua madre stava perdendo un figlio, ma la sua bellezza così remota restava imperturbabile.

“È una logica che non puoi cogliere, non ti viene nemmeno richiesto, ma è sempre stato così.” Sottolineò con stizza il padre “È stato così anche con mio padre e, adesso che ho il comando, ne vedo le ragioni.”

“È ancora giovane...”

Obiettò lei flebilmente, la voce che veniva fuori in un sussurro quasi strozzato, lasciando in sospeso le sue considerazioni più profonde.

“È terribilmente precoce, come suo nonno.” Nella breve pausa che seguì queste parole, il bambino colse la volontà del padre di porre fine al discorso “Il suo dominio sarà uno dei più prolifici per la nostra famiglia, vedrai. Ma dovrà attendere: questo è il mio tempo!”

Forse, nelle sue intenzioni, la promessa della gloria futura avrebbe dovuto rincuorare la giovane moglie nel proprio sacrificio. Il suono del tappo di una penna, posato con decisione sulla scura scrivania di mogano, pose fine alla conversazione. Con il solito garbo e quietamente, la donna si alzò dirigendosi verso la porta. Il suo incedere era flessuoso e raffinato, come al solito. Come quello di una regina, pensò il bambino quando le sue gambe riempirono lo spazio lasciato aperto dallo sportello. Il leggero rossore che alterava le palpebre diafane era l’unico segnale che tradiva il peso della notizia appena ricevuta.

Il bambino biondo rimase nascosto fino a che il padre non si alzò dalla sua scrivania e abbandonò lo studio. Solamente a quel punto ebbe il coraggio di sgattaiolare fino alle proprie stanze.

L’estate ora volgeva al termine.

Il fratello ammirato, amato, temuto, stava per essere condotto lontano, in un posto chiamato Europa, per iniziare un percorso di formazione che lo avrebbe portato al vertice. Così era stato spiegato al bambino, ma i motivi che trascinavano suo fratello lontano da quella casa restavano per lui nebulosi. E anche se la solitudine sarebbe stata insopportabile, non poteva negare il sollievo che avrebbe provato nel vederlo partire. Ma la partenza sarebbe avvenuta dopo aver esaudito il suo perverso desiderio.

“Fallo.”

Il fratello gli si era fatto più vicino. Il tepore del suo alito restò sospeso per pochi istanti e l’ordine assunse una consistenza quasi fisica. Nonostante la vicinanza, neppure l’atteggiamento del suo agile fisico di ragazzino era minaccioso.

Il piccolo continuò a guardare la mano posata sul banchetto.

Era la mano carnosa di un bambino di quattro anni. Carnosa e tenera.

Si intravedeva appena la linea delle vene, i tendini non erano nemmeno visibili. Era una mano leggermente grande per l’età del bambino. Le nocche erano però ancora una dolce fossetta. Cosa avrebbero fatto quelle mani una volta cresciute?

Il bambino biondo spostò lo sguardo dalla propria mano fissandolo negli occhi del fratello.

Non cambiò nulla.

Il maggiore dei due continuava a guardarlo impassibile.

Il bambino biondo sentì la propria mente svuotarsi di qualsiasi pensiero, diventare un luogo oscuro in cui nemmeno la mamma lo avrebbe potuto trovare. Sentì ogni sua capacità di resistere scivolare via, come se precipitasse nel buio. E lui con lei. Ubbidire era l’unico modo per far sì che quel momento passasse e se lo avesse fatto sarebbe stato libero da qualsiasi decisione. Gli sarebbe semplicemente bastato assecondare la voce che aveva riempito il vuoto nella sua testa:

“Fallo.”

Il bambino biondo prese il tagliacarte posato davanti a sé.

Lo sollevò lentamente.

La punta del tagliacarte era rivolta minacciosa verso il basso.

E con forza la calò sul dorso della propria mano, fino a inchiodarla sul legno del banchetto.

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